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Speciale emigrati
L'emigrazione dall'Italia
Emigrati Friulani e Giuliani
Istro-Giuliano-Dalmati
Un caso a parte: l’esodo degli Istro-Giuliano-Dalmati
Difficile affrontare un tema ancora oggi così dibattuto come l'esodo degli istro-giuliano dalmati.

Mi limiterò quindi a delineare alcune linee di massima per inquadrare il fenomeno, senza addentrarmi in particolari e senza pretendere di esaurire un tema cosí delicato in sole due pagine. Innanzitutto dobbiamo ricordare che all'interno della Venezia Giulia e della Dalmazia l'esodo non fu affatto omogeneo dal punto di vista quantitativo, essendo l'Istria la regione di gran lunga più colpita da questo evento.

Per capire cosa fu l'esodo possiamo cominciare ricordando che la popolazione autoctona dell'Istria si dimezzò durante il periodo che va dal 1945 al 1955. La fuga degli istriani dalla loro terra ebbe il suo momento più tragico nel 1947, quando il flusso dei profughi raggiunse il suo picco massimo. Anche se i numeri non saranno mai accertati con esattezza il numero totale dei profughi istro-giuliano dalmati dovrebbe essere prossimo alle 250.000 unità. In questo numero sono compresi i fiumani, i circa 15.000 dalmati (quasi tutti provenienti da Zara), i 40.000 italiani non originari di queste terre (funzionari di stato, insegnanti, forze di polizia arrivati tra il 1920 e il 1940) e circa 20.000 istriani di lingua e tradizione slava (per lo più croati), i fiumani.

Tra i 65.000 e gli 85.000 esuli emigrarono all'estero (Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina), mentre gli altri si distribuirono in Italia con una ovvia predilezione per le regioni più prossime a quella d'origine o per quelle con maggiori prospettive di impiego.

Come tutti gli eventi storici di una certa portata, anche le ragioni dell'esodo non si possono ricondurre soltanto ad un solo biennio (1943-1945), ma vanno ricercate in un arco di tempo ben più lungo. Il censimento austro-ungarico del 1900 stimava la popolazione istriana in 345.000 unità, con una percentuale di italofoni compresa tra il 40 e il 45% di poco inferiore alla componente slava. Pur con le dovute eccezioni è importante notare il diverso tipo di distribuzione per classi sociali delle due etnie: gli italofoni occupavano gli strati medio alti della società e vivevano soprattutto dentro e attorno alle città, gli slavi erano per lo più di estrazione contadina e vivevano nelle zone rurali della penisola istriana. La convivenza tra le due anime dell'Istria era stata per lo più pacifica per secoli, sia sotto la sovranità della Serenissima che sotto il dominio Austriaco. Le prime avvisaglie di tensione di origine etnica si avvertirono, come del resto in tutto il resto d'Europa, verso la seconda metà dell'Ottocento. Ricordiamo per esempio che l'istriano Juraj Dobrila, Arcivescovo di Zagabria e membro del parlamento di Vienna, fu uno dei fautori e dei padri della causa nazionale croata. Queste tensioni si catalizzarono durante il primo conflitto mondiale e contribuirono alla disintegrazione del cosmopolita Impero Austro-ungarico.

Con la Prima Guerra Mondiale inizia il calvario della Venezia Giulia. La parte occidentale di questa regione fu la prima a soffrire, essendo il teatro del sanguinoso scontro tra l'esercito italiano e quello austro-ungarico. Per avere libertà di manovra le autorità austriache sfollarono migliaia di civili verso l'interno dell'impero. Furono circa 130.000 i profughi di questo primo esodo della Venezia-Giulia che, seppur temporaneo, mise duramente alla prova soprattutto donne, vecchi e bambini.

Dopo la Grande Guerra l'intera Venezia Giulia entrò a far parte del territorio nazionale italiano e seguì le sorti del resto d'Italia, ormai prossima alla dittatura fascista. La repressione delle popolazioni slave non si fece attendere e contribuì in maniera determinante ad avvelenare il clima di pacifica convivenza di queste terre. Durante il Ventennio circa 50.000 slavi abbandonarono l'Istria per rifugiarsi in Jugoslavia. Già prima del 1922 i luoghi di aggregazione degli sloveni e dei croati vennero aggrediti e distrutti: società corali, società sportive, sale di lettura, circoli dopolavoristici, scuole. All'avvento ufficiale del fascismo il clima anti-slavo viene "giustificato" da apposite leggi. Viene proibito l'uso delle lingue diverse da quella italiana, con il regio decreto del 7 aprile del 1927 viene imposta l'italianizzazione dei cognomi, vengono soppressi e confiscati i beni delle organizzazioni culturali, ricreative, economiche slovene e croate. Gli insegnanti di lingua slovena vengono trasferiti e costretti a licenziarsi, la repressione investe anche i preti slavi in quanto "si ostinano a celebrare le funzioni religiose in lingua slava". Negli anni '28-'30 gli agricoltori slavi sono costretti a mettere all'asta le proprietà, acquisite da coloni italiani.

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale accelera l'evolversi della tragedia e innesca un circolo vizioso di vendette pubbliche e private, etniche e politiche. Nel 1941 l'Italia, incorpora la Slovenia meridionale, il litorale Dalmata e la Carniola. L'occupazione italo-tedesca fu contrassegnata da particolare durezza: incendi di villaggi, eccidi di rappresaglia, rastrell am enti, fucilazioni ed impiccagioni, deportazioni in c am pi di concentramento italiani (202 complessivi, tra cui Arbe-Rab in Dalmazia e Gonars in Friuli) e tedeschi.

È ovvio che la reazione degli slavi oppressi non si fece attendere. La resistenza anti-fascista si organizzò in Istria come in Slovenia e fu facile mira della demagogia e della propaganda politica comunista. L'abilità di Tito sta proprio in questo: convogliare vent'anni di soprusi e di discriminazione etnica sotto un'unica bandiera di colore rosso. A differenza di altri leader dell'area comunista Tito poteva quindi giocarsi due carte, quella etnica in chiave anti-italiana e quella politica in chiave anti-fascista. Il gioco era fatto. Dal settembre del 1943 all'ottobre dello stesso anno la rabbia antifascista e anti-italiana sconvolse la penisola Istriana, perpetrando violenze inaudite. La giustizia sommaria e la vendetta sfociarono in molti casi nel triste fenomeno delle foibe. Dopo l'ottobre del '43 la rappresaglia nazi-fascista si scatenó infiammando ancora di più gli animi.

In seguito alla vittoria dei titini gli italiani della Venezia Giulia non potevano certo aspettarsi un trattamento migliore di quello che il fascismo aveva riservato agli slavi nei vent'anni precedenti. In mezzo c'era anche una guerra che, viste le atrocità commesse da ambo le parti, aveva sconvolto nel profondo la psicologia di tutta una società, togliendole ogni barlume di obiettività e di umanità. A completare il quadro è doveroso ricordare che, come in tutti gli altri paesi dell'Europa dell'Est, la liberazione dal nazi-fascismo, coincise con l'inizio di un'altra dittatura anche se basata su un'ideologia opposta.

Le pressioni e i soprusi cui furono sottoposti gli istriani italofoni dal 1945 al 1947, il baratto geo-politico delle varie potenze coinvolte nelle trattative post belliche, il ricordo delle violenze scoppiate dopo l'8 settembre del 1943 e nel maggio-giugno del 1945, non lasciavano altra scelta se non quella della fuga. Era l'esodo, la fiera dei luoghi comuni: in Italia tutti gli esuli istriani diventarono fascisti come per magia, tutti i partigiani (anche quelli di Porzûs) santi e liberatori. Per gli esuli tutti gli slavi diventarono bestie comuniste che mangiavano i bambini, mentre per gli Jugoslavi italiano era sinonimo di fascista. Non essere comunista significava essere fascista.

I profughi istriani furono temporaneamente sistemati in 109 campi appositamente allestiti, poi pian piano gli esuli si sparpagliarono in Italia e all'estero.

Ben presto la politica di ambo gli schieramenti insabbiò la faccenda: per il governo De Gasperi e per gli americani era più importante mantenere buoni rapporti con la Jugoslavia non allineata di Tito, che gettare benzina sulla questione giuliana. Per il Partito Comunista Italiano era ovvio voler nascondere le pagine oscure che il movimento comunista jugoslavo e in parte minore anche quello italiano, avevano scritto in Venezia Giulia durante la Resistenza, che peraltro rimane una pagine fondamentale della storia italiana contribuendo in maniera cruciale alla liberazione e alla creazione della costituzione del 1946.

Dopo sessant'anni gli animi si sono pacati, molti dei protagonisti non ci sono più e per fortuna, anche se non senza alcuni casi di strumentalizzazione, si ritorna a parlare di esodo, di Trieste, di giuliano-dalmati.
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